I Ragazzi di San Frediano 1972 – 1976
Nostalgia! Ho nostalgia perfino di ciò che non è stato niente per me, per l’angoscia della fuga del tempo e la malattia del mistero della vita. Volti che vedevo abitualmente nelle mie strade abituali: se non li vedo più mi rattristo; eppure non mi sono stati niente, se non il simbolo di tutta la vita.
Il vecchio anonimo dalle ghette sporche che mi incrociava quasi sempre alle nove e mezzo del mattino? Il venditore zoppo dei biglietti della lotteria che mi seccava senza successo? Il vecchietto tondo e rubizzo, col sigaro in bocca, che sostava sulla porta della tabaccheria? Il pallido tabaccaio? Cosa ne sarà di tutti costoro che, solo per averli sempre visti, hanno fatto parte della mia vita?
Domani anch’io scomparirò da Rua da Prata, da Rua dos Douradores, da Rua dos Franqueiros. Domani anch’io – l’anima che sente e pensa, l’universo che io sono per me stesso – sì domani anch’io sarò soltanto uno che ha smesso di passare in queste strade, uno che altri evocheranno vagamente con un “che ne sarà stato di lui?”. E tutto quanto ora faccio, quanto ora sento e vivo non sarà niente di più che un passante in meno nella quotidianità delle strade di una città qualsiasi.
(Fernando Pessoa, Il Libro dell’Inquietudine)
Eugenio Miccini
SAN FREDIANO
Firenze, marzo 2005
Scrive Susan Sontag nel suo libro “sulla fotografia”:
“…Osservando la realtà altrui con curiosità, con distacco, con professionalità, l’onnipresente fotografo agisce come se la sua attività trascendesse gli interessi di classe, come se la sua prospettiva fosse universale. Di fatto, la fotografia comincia ad acquistare una propria fisionomia come prolungamento dell’occhio del flâneur borghese, la cui sensibilità è stata descritta con tanta precisione da Baudelaire. Il fotografo è una versione armata del viandante solitario che perlustra, esplora, percorre l’inferno urbano, del bighellone-voyeur che scopre la città come paesaggio di estremità voluttuose. Esperto delle gioie del guardare, intenditore di empatia, il flâneur considera il mondo “Pittoresco”. Le scoperte del flâneur baudelairiano sono illustrate dalle istantanee scattate alla fine del secolo da Paul Martin nelle strade di Londra e in riva al mare a da Arnold Genthe nella Chinatown di San Francisco (entrambi con una macchina nascosta), dalla Parigi crepuscolare di Atget, fatta di strade squallide e di botteghe in rovina, dai drammi del sesso e della solitudine raffigurati nel libro Paris de Nuit (1933) di Brassaî, dall’immagine della città come teatro del disastro in Naked City (1945) di Weegee. Il flâneur non è attratto dalle realtà ufficiali della città ma dai suoi brutti angoli bui, dalla sua popolazione trascurata: una realtà non ufficiale che sta dietro la facciata della vita borghese e che il fotografo “cattura” come un poliziotto cattura un criminale…”.
Contrariamente, Giovanni Fanetti con le sue fotografie sulla “Gente di San Frediano”, glissa la città che sarebbe il teatro del crimine. E’ affascinato dai volti delle persone, ma con la discrezione che evita i tempi lunghi della posa da studio. Lascia che il clic colga l’attimo, tanto è densa l’Epifania del vissuto che sarà bloccato dal fotogramma. Compie una sua esplicita metonimia, cioè una sostituzione: la gente per il luogo, pochi astanti al posto delle masse; gesti e posture di gente sorpresa, lieta, sorridente; la vita pacata di un Borgo. Fanetti sa come mandare a memoria le immagini di una dissipazione, di un tempo destinato a perdersi. L’immagine è un segno assoluto. Il bianco e nero, poi, senza accattivanti flou, aumenta il senso del documento, del reperto, dell’assoluto. In questo senso il fotografo è a suo modo uno storico. Momenti di vita filtrati da quella mediazione creativa, che tuttavia li trascende, che è l’Arte Fotografica.
01 Orlando Chiaverini nella sua bottega di Borgo San Frediano.
Orlando Chiaverini, la memoria vivente di San Frediano. Fece parte del gruppo delegato ad andare a Roma (18.10.1990) per portare a Vasco Pratolini il Torrino D’oro, assegnato allo scrittore durante la grande festa di settembre in Piazza di Cestelllo.
02 Da sinistra: Ugo “i’ bambolaio”, “i’ ghiggia”, “i’ Fantoni detto Fabrizzi”. In piedi i fratelli Ricci: Otello “i’ bocchio” e Angiolino detto “Sceva”. Piazza dei Nerli
03 Restauratore di Borgo San Frediano
04 Raccoglitore di carta di Piazza del Carmine
05 Ospite dell’Albergo Popolare
06 Bambini in un interno
07 Sergio Pastorini (al centro) renaiolo.
Fu nominato “Cavaliere” dal Comune di Firenze, perchè ritrovò in Arno la testa della Primavera (statua sul ponte Santa Trinita fatto saltare dai Tedeschi durante la seconda guerra mondiale)
08 Candido
09 Signora alla Chiesa in Piazza del Carmine
10 Piolo, “I’ Pugile”.
Durante l’occupazione degli americani, insediati presso la caserma Cavalli, fu organizzato un incontro di boxe alla palestra Caiani e Piolo fu chiamato all’ultimo momento a combattere contro un pugile nero americano….finì malconcio.
11 Via Villani, “Domenica In”
12 Confidenze, Via del Leone
14 Asilo Nido delle Suore Francescane in Piazza Del Carmine
15 Il barbiere Gherardotti, “Bilo” e “Don Cuba”
Loris Dondoli, Bronzista, nel laboratorio di Via del Campuccio
17 Signora Bambi (a destra), Via del Leone
18 “Da Fede” con questa medicina passa tutto!
19 Boghe (a destra) all’angolo fra via del Leone e via dell’Orto
20 Paolini,” i’ Falegname di via della Chiesa”
21 “I’ cartaio Paperino”, Via dei Cardatori
L’arte di arrangiarsi e di adattarsi al mezzo a disposizione per trasportare di tutto.
22 “I’ Tappezziere”, Via dei Serragli
Quando il tempo lo permetteva, gli artigiani di San Frediano lavoravano sui marciapiedi.
23 Signore a passeggio in Piazza Torquato tasso
24 Santurri “I’ Corniciaio” di Borgo Tegolaio
25 Cucciolo con aquilone in Piazza del Carmine
26 Gano, “I’dduro di San Frediano”
Piazza del Carmine. “Gano, I’ dduro di San Frediano”. Neologismo divenuto popolare da una trasmissione radiofonica regionale “Il Grillo Canterino”, in cui l’attore fiorentino Corrado De Cristoforo, dava vita alla macchietta di Gano i’dduro di S.Frediano.
27 I’ Cambi (primo a destra) in Via Sant’Onofrio
Chi da “i’ Cambi”, chi da “Fede” un panino e lampredotto con un bicchier di vino e tante chiacchiere per stare insieme.
28 Rodolfo Boschi, al centro col pallone, nella partita del Calcio Storico Fiorentino, giocata nel 1972 in Piazza Signoria
29 “Conversazioni”, Via del Leone.
La strada era un luogo di comunicazione, si parlava di tutto e con tutti.
30 Interno Oratorio Suore Francescane in Piazza del Carmine.
31 “Ricreazione” Interno Oratorio Suore Francescane, Piazza del Carmine
32 Interno Albergo Popolare
33 Signor Tuci, Ammannitore, Leopoldine.
Piazza Torquato Tasso, Leopoldine. Il lavoro di ammannire consiste nel verniciare il legno con gesso liquido denso per prepararlo alla doratura.
34 Pastine da “Fede”.
Sirio Alvarado (al centro) detto “Pastine”, perchè faceva il lavoro di cuoco.
35 “Juve”, Piazza Santo Spirito
Sembra l’ascolto di un radiodramma, in realtà trasmettevano “tutto il calcio minuto per minuto”
35 (1) Goal!
36 “Du’ chiacchiere” Via del Leone
Lungo le strade c’era sempre un incontro. si facevano due chiacchiere, si scambiavano inquietudini e le nostre umanità.
37 “Siesta” Piazza Torquato Tasso
In realtà il signore sottostante il manifesto, non vuole dire che ai congressi si dormicchia, ma che ci si può appisolare.
38 Restauratore di mobili e cornici Via dell’Orto
“…alla fine di questa giornata rimane ciò che è rimasto di ieri e ciò che rimarrà di domani…” (Fernando Pessoa)
39 Luna Park, Piazza Torquato Tasso
Era un gran divertimento guidare le scintillanti automobiline elettriche; i colpi di frusta erano gratis. Finiti i soldini si tornava a casa a piedi.
40 Via del Leone. Nel rione la sedia sul marciapiede era sempre presente sia per oziare, per chiacchierare che per lavorare.
41 Bar in Piazza Santo Spirito.
“Il Mito del Flipper”. Si giocava sbatacchiandolo. L’abilità e la sfida erano di non farlo andare in tilt e battere il record dei punteggi segnati sul flipper. Il suo contatto fisico faceva scaricare molte tensioni.
42 “Circo Ambulante”, Piazza Torquato Tasso
Nel dopoguerra l’unico divertimento dei fiorentini erano i piccoli circhi ambulanti. Noto a Firenze era quello di Caroli detto “I’ Gratta”.
43 Signora Tantussi, Piazza Torquato Tasso
44 A passeggio in Via del Leone
45 “Profumo di Coccoli”, piatto forte dei friggitori fiorentini. Via dei Serragli
46 “Bacheca” Rimessa Carrozze Piazza Torquato Tasso.
Bacheca con ferro di cavallo, specchio e foto di graziosa signorina.
47 Rimessa dei Fiaccherai, Piazza Torquato Tasso.
Il fiaccheraio era il vetturino che faceva serivzio pubblico. Nel 1880ca. erano 550, oggi ne sono rimasti 12 e prestano servizio per qualche romantico turista.
48 “Pensieri” Piazza dei Nerli.
49 Falegname di Via della Chiesa
50 “I’Tappezziere di Via del Campuccio”
52 “Il pranzo si raffredda”, Piazza Piattellina.
Roberto Melchionda – maggio 2005
TIPI DI SAN FREDIANO
Fanetti, questo maestro fiorentino della fotografia che non ha avuto maestri, dispone di una forte e sicura sensibilità formale, una dote di natura non un’acquisizione di scuola.
Erano gli anni settanta quando ebbe l’idea di ricercare in San Frediano i tipi più caratteristici, le presenze più significative del quartiere più vivo e artigianale di Firenze.
In queste fotografie in bianco-nero, vediamo all’opera un fotografo che, cordiale e del tutto compartecipe al sentire dei soggetti sotto obiettivo, volge il suo occhio agli aspetti più comuni e apparentemente di scarso interesse per un pubblico ordinario. Di primo acchito paiono infatti istantanee “private” ossia fatte casualmente da un familiare o da un amico per fissare un qualsiasi momento della propria giornata, così senza un motivo preciso, come per gioco, per avere un ricordo, per il piacere di usare l’aggeggio che si ha in mano.
Questa viva spontaneità, questa apparente non-ricercatezza è il fascino di questa serie fotografica in bianco e nero che riprende modeste persone del popolare rione “sorprese” per strada o in un interno nell’attimo fuggente: artigiani al lavoro o al riposo, bambini che giocano o che soffrono, uomini nell’osteria, vecchi e vecchie, primi piani di visi “interessanti”, i “noti” del quartiere, tutti fermati sulla celluloide da un fotografo che fraternizza e ride con loro, con loro che spesso ridono di sé medesimi e insieme del mondo tutto.
Per chi guarda oggi, trentaquattro anni dopo, è come sfogliare con curiosità e intenerito cuore un vecchio album di famiglia, ma un album che ha la dignità dell’arte e che nel suo insieme si presenta come un affresco parlante da sé solo, senza bisogno del sussidio di ricordi diretti. Aver saputo fermare nella sua concretezza estemporanea questa umanità popolana ed insieme averla saputa sollevare oltre l’ambito della mera rievocazione documentaria: ecco, il fascino di questo lontano “lavoro” di Fanetti.
Gli originali delle fotografie sono analogici.
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