Illador Voci di Pietra 1990 – 2014
La natura non produce per fare effetto sull’osservatore, Essa non vuole neppure ammaestrare.
La sua ricchezza è come quella di una fonte: un passante può bere, oppure passare oltre, come gli aggrada.
Quel che ci attrae come magnificenza e bellezza è soltanto Un effetto della prospettiva, uno scintillio della sostanza.
Partecipiamo allo spettacolo e ne godiamo, ma esso non è stato Ideato e progettato per i nostri occhi.
Il prodigio supera la rappresentazione.
(Ernst Jünger – Il Contemplatore Solitario)
LE SCULTURE INTERPRETATE NEGLI SCATTI DI GIOVANNI FANETTI
Fanetti non è uno scultore, è un fotografo che scolpisce con la luce. La luce è la sua subbia e la camera il suo mazzuolo. Altri arnesi non gliene occorrono.
Non si reca nelle cave per scegliere il tipo di pietra che gli bisogna, perché ha trovato in un pezzetto di Sardegna la più grandiosa distesa di scultura en plein air esistente al mondo.
Autrice di quelle “opere”, l’una nell’altra fuse, senza soluzione di continuità, è la natura che ha modellato il granito delle rocce come si trattasse di tenera argilla.
Il suo operare, infinito nel tempo, anche se non ce ne avvediamo, produce “cose” in continua mutazione di forma, dimensione e successione.
Se non ché, questa imprevedibile autrice non ha coscienza d’arte, non progetta alcunché; quello che succede, per il suo inconsapevole fare, accade per vie naturali.
La meraviglia stupefatta che c’investe quando osserviamo la sua “produzione” è di tipo passivo, in quanto, pur stando dentro le sue “creazioni”, non abbiamo nessuna possibilità d’interagire con esse; possiamo soltanto contemplarle.
Qualcuno, talvolta, ha l’intelligenza e la sensibilità per tentarne una lettura personale in grado di fotografare quella realtà e restituircela interpretata. Giovanni Fanetti è il visionario capace di questo. E’ un fotografo del tutto particolare perché è un uomo particolare. La sua capacità di percepire oltre il visibile fa si che renda soggetto l’oggetto ricreandolo dal “vero” in una nuova entità che esiste per vita propria.
Giovanni Fanetti: presenza importante nella fotografia italiana. Peccato. Se il suo nome non terminasse in “I” sarebbe, è cosa certa, conosciuto in buona parte del mondo per quello che vale.
In un paese autolesionista quale il nostro non c’è spazio per certe presenze, in special modo quando si tratti di individui liberi, non suscettibili di compromessi di sorta e che inevitabilmente finiscono per essere scomodi in quanto specchianti le cattive coscienze di tanti. Personalmente questo me lo fa apprezzare maggiormente.
Tornando al suo lavoro in Sardegna, è da dire che, in quella terra ha scoperto la sacralità del suo privato tesoro aperto a tutti ma non alla loro portata. Egli, da tempo, si reca in quel “museo”. E’ un pellegrinaggio materiale e spirituale che gli consente appunto, per quel suo vedere oltre, di fissare sulla pellicola le sue visioni. Inventa la luce che investe quella natura, e ne estrae frammenti conferendogli significanti espressivi che stanno al di fuori delle possibilità visuali comuni.
I suoi interventi ri-creativi diventano metafore di potente espressività, sottolineata dal rigore del suo puro bianco e nero, dove la polifonia dei grigi porge al nostro sguardo le immagini nella loro intatta essenzialità. Opere autonome svincolate dagli originali che la natura ha creato, per assumere vita nuova e indipendente. E’ il lavoro d’un artista.
Luciano Ricci Aprile 2006
Gli originali delle fotografie sono analogici.
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